Tra una settimana, il 1° maggio, il presidente Usa Trump deciderà se estendere anche all’Europa i dazi su acciaio e alluminio. Il timore è che in caso di mancata esenzione permanente dai dazi – come chiesto dalla Ue e ribadito dal presidente francese Macron in visita negli Usa – si inneschi una pericolosa escalation. Che per l’Italia potrebbe avere un conto salato: il mercato americano è diventato negli ultimi 10 anni uno degli sbocchi privilegiati del nostro made in Italy, con il nostro export schizzato da 20 a oltre 40 miliardi. L’Italia – secondo uno studio dell’Osservatorio economico del ministero dello Sviluppo economico- oggi è l’ottavo fornitore degli Usa, era il 15° nel 2010.
Lo studio del Mise fotografa innanzitutto lo squilibrio del saldo commerciale tutto a nostro favore. «I dati del nostro interscambio con gli Stati Uniti evidenziano una bilancia commerciale storicamente in attivo che, nel 2017, ha toccato il suo picco più alto, attestandosi a poco meno di 25,5 miliardi di euro». Una crescita, questa, che viene da lontano, almeno dal 2010 quando le nostre vendite nel mercato americano hanno cominciato a crescere con incrementi annui di oltre il 10% (20,9% solo nel 2015). In particolare, lo scorso anno, l’export italiano – cresciuto del 9,8% – ha superato per la prima volta in assoluto i 40 miliardi di euro. Elaborando i più recenti dati dell’U.S. Census Bureau – spiega il Mise – si evidenzia che l’Italia, nel 2017, con una quota pari ad oltre il 2,1%, è diventato l’ottavo fornitore nel commercio mondiale degli Stati Uniti, preceduta da Cina, Messico, Canada, Giappone, Germania, Corea del sud e Regno Unito. Un grande balzo se si valuta che nel 2010 eravamo i quindicesimi fornitori, con un’incidenza relativa dell’1,5 per cento.
Anche l’Italia è un mercato in crescita per gli Usa. Dopo un lieve calo nel 2016 (-2%), lo scorso anno l’import è aumentato del 7,9 per cento. Anche in questo caso si è realizzato un primato: per la prima volta gli acquisti italiani dal mercato statunitense hanno oltrepassato la soglia dei 15 miliardi di euro (per un interscambio complessivo record da 55 miliardi). Inoltre, secondo gli ultimi dati dell’ufficio nazionale di statistica americano, il nostro Paese, con un peso relativo dell’1,2%, rappresenta il diciannovesimo cliente. «In generale l’interscambio complessivo di beni dell’Italia con gli Stati Uniti – avverte lo studio del Mise – fornisce un contributo del 6,5% al volume totale dei nostri scambi a livello internazionale, ossia un valore di poco superiore alle relazioni commerciali che intratteniamo complessivamente con la Spagna e il Giappone». Con Lombardia, Emilia Romagna e Veneto che rappresentano un quinto dell’export verso gli Usa, mentre Lazio e Lombardia assorbono quasi metà delle importazioni Oltreoceano.
Oltre il 21% del nostro export verso gli Usa si basa sui mezzi di trasporto. In particolare autoveicoli ma anche aeromobili, veicoli spaziali, navi e imbarcazioni. Segue, con poco più del 18%, il comparto dei macchinari e apparecchiature, in particolare composto da macchine industriali specializzate e di impiego generale. «Da sottolineare che le vendite italiane in questi due settori si sono più che raddoppiate se paragonate ai valori ottenuti nel 2010». Anche il settore delle bevande fornisce al nostro export un contributo del 4,5% e detiene una quota di mercato negli Usa di poco inferiore all’11 per cento. Con il vino che fa la parte del leone: «Preponderanti in questo ultimo comparto risultano i vini di uve: elaborando i più recenti dati del Global Trade Atlas – spiega il Mise – l’Italia risulta infatti in concorrenza con la Francia per occupare il ruolo di principale fornitore mondiale negli Stati Uniti (con una quota di mercato pari al 31,5%)».
Più in generale l’avanzo commerciale deriva dai «comparti manifatturieri tipici del Made in Italy», come la meccanica (+5,9 miliardi di euro), l’alimentare (+3,7 miliardi di euro), l’abbigliamento e la concia (entrambi i settori con un attivo di poco inferiore agli 1,5 miliardi). Un successo dovuto – ricorda il Mise – anche al Piano straordinario per il Made in Italy del Governo, che dal 2015 ha stanziato oltre 100 milioni per rilanciare il nostro export in Nord America. Oltre alle politiche promozionali, l’ampio avanzo commerciale che l’Italia detiene – ricorda il Mise – è «frutto della persistente debolezza della nostra domanda nazionale». Che ora è in lieve ripresa anche grazie al ritorno degli investimenti (trainati in particolare dal piano industria 4.0). «La crescita delle importazioni quindi, unita alla politica protezionista che il presidente della prima potenza economica mondiale sta attuando anche nei confronti dell’Unione Europea, potrebbe avere – conclude lo studio – ripercussioni importanti e significative sul nostro surplus, con il rischio, per l’Italia, di un riequilibrio – seppur parziale – dei nostri conti con il mercato statunitense».
–di Marzio Bartoloni
FONTE: http://www.ilsole24ore.com
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