L’orgoglio italico passa anche attraverso il cibo. Non solo pizza e spaghetti, ma una serie di prodotti del settore agroalimentare, peculiarità di casa nostra, che rappresentano una cospicua fetta del nostro export e danno lustro al Made in Italy.
Via della seta. In Cina export di arance rosse, ma non solo.
È notizia di questi giorni la via della seta: l’accordo siglato da Luigi di Maio con Pechino, che vede il colosso di e-commerce cinese Alibaba protagonista nell’esportazione e vendita delle arance rosse di Sicilia in Cina.
Ma la patria della Grande Muraglia ci conosce già anche per altro. Sulle tavole cinesi nel 2018 sono arrivati vini italiani per un giro di affari pari a 127 milioni di euro, praticamente un terzo del nostro export. In Cina rappresentiamo il quinto fornitore di vino.
Preceduti da Francia, Australia, Cile e Spagna, che prima di noi hanno capito le potenzialità di un paese in cui la domanda è cresciuta del 106% negli ultimi 5 anni (89 volte in più rispetto alla domanda del mercato tedesco).
In Cina esportiamo anche prodotti del comparto latteario-caseario e olio d’oliva.
Ma il brand Made in Italy ha un forte appeal nel mondo, non solo in Cina.
Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Spagna concentrano la metà dell’export del cibo italiano all’estero. La particolarità di esportazione di vino in Francia, paese produttore, fa riflettere sulla qualità e offerta di casa nostra. Come le opportunità di crescita nei mercati emergenti di Cina e Russia, nonostante le problematiche con gli aspetti doganali.
L’export agroalimentare.
Negli ultimi anni nei paesi più sviluppati è cambiata la percezione del cibo e del vino, che non sono più visti come generi di prima necessità, ma si trasformano in beni di consumo complessi, a cui si associano anche aspetti culturali, edonistici, sociali. Il cibo quindi perde la stretta connessione di prodotto-prezzo, ma si eleva, connotandosi di ulteriori elementi capaci di soddisfare questo nuovo approccio. Conta meno il prezzo, hanno maggiore peso le caratteristiche organolettiche dei prodotti. La loro capacità di solleticare il gusto e di raccontare un territorio. E la varietà italiana esaudisce pienamente la domanda variegata.
Tanto che, nel lungo periodo di crisi economica, il comparto agroalimentare italiano ha dimostrato meglio di altri una capacità di resilienza e di stabilità sulla contabilità nazionale.
Ma ancora molto si può fare. Se la propensione a esportare per la media dei paesi UE supera il 60%, quella italiana e pari al 44%.
L’export agroalimentare italiano in Europa.
Se guardiamo all’Europa, le prime 5 esportazioni agricole dall’Italia riguardano mele e uva, kiwi, nocciole sgusciate, prodotti vivaistici (dati rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano).
Per i prodotti trasformati, si hanno pasta e conserve di pomodoro, per cui siamo i primi esportatori in UE.
Seguono vini e olio (secondo esportatore) e poi i latticini e formaggi (quarto esportatore).
Ma dall’Europa importiamo anche parecchie materie prime come caffè, frumento e altri cereali, di cui siamo carenti, ma che sono fondamentali per la filiera.
La paura della Brexit ha fatto volare le esportazioni di prodotti alimentari made in Italy in Gran Bretagna del 17,3%: praticamente una corsa per fare scorte di di cibo, con il timore di dazi o ostacoli allo scadere del 29 marzo 2019.
Prosecco, Grana Padano, conserve di pomodoro, fra i prodotti che hanno fatto registrare 243 milioni di euro di entrate in soli 3 mesi. Un’accelerazione determinata dalla paura degli amanti del cibo italico in Gran Bretagna, ma che preoccupa anche le aziende locali, che in quel paese avevano quote di mercato.
L’export agroalimentare italiano nel mondo.
Il vino è uno dei nostri cavalli di battaglia anche a livello mondiale.
Ne siamo i secondi esportatori nel mondo, alle spalle della Francia in termini di flussi in valore e della Spagna nei quantitativi esportati.
Se guardiamo al mondo, nel 2017 l’Italia occupava la quarta posizione in valore dei paesi esportatori di formaggi stagionati.
Altro prodotto italico sono i salumi. Extra UE, gli Stati Uniti sono un mercato importante per noi, seguito da Svizzera e Giappone. Nel 2017 le esportazioni hanno riguardato una fetta di mercato pari a oltre 106 milioni di euro. Tra i prodotti più apprezzati il prosciutto crudo stagionato, il prosciutto cotto e la mortadella.
I prodotti alimentari italiani, ma non made in Italy.
Finiamo con una curiosità culinaria che sta tenendo banco in questi giorni.
Un piatto trasformato, noto e apprezzato nel mondo come prodotto simbolo della gastronomia made in Italy: i famosi spaghetti alla bolognese, quelli con ragù e polpette per intenderci.
Il piatto italiano forse più amato nel mondo in realtà non esiste. Un fake food insomma.
C’è in corso un’operazione per disconoscerli come di origine bolognese, ma riconoscerli come apolidi (non senza opposizioni interne).
Il sindaco di Bologna sta lanciando una campagna o forse meglio dire una crociata: “Imbarazzante essere conosciuti nel mondo per qualcosa che non esiste”. L’ultimo intervento è dell’Ambasciata statunitense che appoggia e veicola in casa propria le dichiarazioni del sindaco di Bologna.
Concorde con loro il comitato Spaghetti alla bolognese all’estero che aveva inviato una lettera aperta al sindaco: “Auspichiamo che solo il nostro brand “Spaghetti alla Bolognese” […] possa essere utilizzato in chiave marketing da lei e dalle autorità istituzionali bolognesi allo scopo di incrementare il turismo verso la città di Bologna. […] Se gli stranieri di passaggio a Bologna si fermano in un ristorante e ordinano un piatto di Spaghetti alla Bolognese, suggerisca, per favore, ai ristoratori della città di non rispondere che non esistono: ci farebbero solo una brutta figura. È più consono offrire un piatto di spaghetti conditi come pare al ristoratore. In nessun caso potranno assomigliare a quelli che l’avventore straniero mangia a casa sua.“