La mozzarella di bufala è una delle eccellenze italiane più amate e apprezzate in tutto il mondo e anche tra quelle che vantano più tentativi di imitazione. Presente sulle tavole durante tutto l’anno, è in estate che diventa protagonista assoluta di pranzi e cene. электронные займы без процентов
L’80% della mozzarella di bufala viene prodotta in Campania (nelle province di Caserta e Salerno), mentre il restante 20% è dislocato tra la Puglia, il Lazio meridionale e il Molise.
Nel 1993 è stata riconosciuta la denominazione “mozzarella di bufala campana Dop”, poi regolamentata con Regolamento CE n. 1107/96 (pubblicato sulla GUCE L 148/96 del 21 giugno 1996). Non tutta la mozzarella di bufala viene però prodotta con il marchio Dop, infatti su 250 caseifici che producono mozzarella di bufala campana, solo 128 sono iscritti alla Dop.
La mozzarella di bufala si ricava esclusivamente da latte fresco e intero di bufala di razza mediterranea italiana, ricco di grassi e proteine. Per un chilo di mozzarella ne occorrono circa 4,2 litri.
Sulla genuinità e sul gusto del prezioso latticino, conosciuto anche come “oro bianco”, non c’è bisogno di aggiungere ulteriori notizie o elementi, e nemmeno vogliamo addentrarci nell’eterna diatriba se sia più buona la mozzarella di Aversa o quella di Battipaglia. Quello che ci interessa ripercorrere è la storia della mozzarella di bufala, per arrivare alle origini di questo orgoglio nazionale e campano e capire come mai, dopo secoli, non ha ancora rivali.
Una storia lunga secoli
Per andare alle origini dei formaggi a pasta filata, dobbiamo risalire più o meno al 500 a.C., come riportato nei testi di Ippocrate. All’epoca, l’esigenza era quella di conservare più a lungo il latte, riducendone l’acidità attraverso la filatura a caldo. La cagliata, portata ad alte temperature, poteva così essere lavorata e trasformata in formaggio.
Intorno all’anno 1000, con l’introduzione dei bufali in Italia dall’India orientale, tramite i Normanni, si comincia a utilizzare il latte di bufala. Provenendo dalla Sicilia, gli allevamenti di bufalo si stabilizzano nelle zone paludose della Piana del Volturno e nella Piana del Sele, trovando un habitat più favorevole. Il bufalo diventa subito molto prezioso, sia per l’impiego come animale da lavoro che per il latte, utilizzato come bevanda energetica e dissetante dai soldati. Successivamente, per conservarne le proprietà più a lungo, si pensò di trasformarlo in formaggio a pasta filata, chiamandola mozza, dal gesto con cui la pasta veniva mozzata con due dita per darle la forma desiderata.
I primi documenti che testimoniano la presenza della mozzarella di bufala risalgono al XII secolo, quando i monaci del monastero di San Lorenzo in Capua erano soliti offrire ai pellegrini un pezzo di pane con un formaggio denominato mozza o provatura se affumicato.
Il termine “mozzarella” appare per la prima volta nel 1570, in un testo a firma di Bartolomeo Scappi, cuoco privato dei pontefici Paolo III e Pio V e autore di uno dei più completi libri di Gastronomia del XVI secolo, “Opera di Bartolomeo Scappi, mastro dell’arte del cucinare, divisa in sei libri”.
Dal 1300 in poi i prodotti caseari ricavati dal latte di bufala li troviamo in tutti i mercati della provincia di Caserta e del Salernitano. Vista la deperibilità della mozzarella fresca, per riuscire a trasportare i formaggi per molti chilometri, si preferiva mandare più lontano solo le provole o le mozzarelle affumicate.
I Borboni: le tenute di Carditello e Capodimonte
La produzione di mozzarelle e altri prodotti caseari derivati dal latte di bufala prosegue nei secoli a fasi alterne. All’inizio c’erano delle semplici bufalare in fango e paglia dove i contadini mungevano gli animali e producevano formaggio. Solo dal XV secolo queste casupole diventano in muratura ma il metodo di lavorazione della mozzarella rimane inalterato.
Il periodo d’oro della mozzarella di bufala lo abbiamo nel Settecento, con i Borbone e la nascita della Tenuta Reale di Carditello. Il Re insediò qui un grande allevamento di bufale, insieme a quello che è considerato il primo caseificio sperimentale, la Reale Industria della Pagliara delle Bufale.
Dai testi dell’epoca si scopre che già allora si cercò di regolamentare la produzione di mozzarella, che doveva rimanere nel suo liquido per almeno 24 ore (48 ore la provola). Per i prodotti che dovevano essere trasportati lontano si consigliava invece l’affumicatura, che ne avrebbe favorito la commercializzazione.
La mozzarella si produceva anche a Capodimonte, dove la Vaccheria Reale realizzava latticini sia con latte di bufala che con latte vaccino.
Fino all’unità d’Italia, la produzione di prodotti caseari bufalini nel sud Italia cresce in maniera significativa e, con l’avvento della ferrovia, le mozzarelle cominciano a diffondersi anche al di fuori della regione.
Dall’Unità d’Italia ai giorni nostri
In seguito alle bonifiche di molti territori, le aree dedicate agli allevamenti di bufale, e quindi alla produzione di mozzarelle, si ridussero notevolmente, per cessare totalmente l’attività negli anni 1861 al 1871.
Dopo una lenta ripresa, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso l’attività casearia tende proprio a scomparire, per poi rifiorire solo grazie alla tenacia e alla lungimiranza di molti agricoltori e imprenditori.
L’allevamento di bufale e la produzione di mozzarella ha così vissuto una graduale rinascita fino ad arrivare alla costituzione nel 1981 del Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana e, nel 1996, il riconoscimento del marchio Dop.
Oggi la mozzarella di bufala è il quarto prodotto caseario più esportato d’Italia e il primo del sud. Viene prodotta nella tipica forma tonda in formati che vanno dalle ciliegine alla zizzona, tipica di Battipaglia. Una mozzarella di bufala media pesa circa 250 grammi, nel caso di una mozzarella aversana il peso si aggira invece intorno ai 500 grammi circa. Tutta la filiera viene controllata in maniera rigorosa in modo da garantire il rispetto delle norme igieniche e offrire al consumatore un prodotto di qualità eccellente.